Come è nato il progetto





















































































Il territorio delle aree protette è il 10% di quello nazionale, cioè tanto, tantissimo. E proprio in quel dieci per cento ci sono le aree meno antropizzate del nostro Paese, le meno stravolte da un falso concetto di modernizzazione e, di conseguenza, le più ricche di esempi autentici di agricoltura, di artigianato, di specialità alimentari tradizionali.

Le aree protette, per ragioni intrinseche, hanno favorito una spinta molto forte alla creazione di nuove imprese agroalimentari: pensiamo a tutto quel che significa il nuovo agriturismo, all’impulso che ha avuto l’agricoltura biologica o alla salvaguardia di germoplasma a rischio di estinzione. Tutte attività “nuove” che vanno a sovrapporsi e ad integrare quelle tradizionali ancora esistenti. E nel nostro paese sono ancora tantissime, un giacimento che, più si scava, più riserva sorprese.
Dopo un primo approccio, ci siamo resi conto dell’immensità e della novità di questa impresa. Non si trattava “soltanto” di catalogare le varie tipologie di prodotti, come, con encomiabile preveggenza, alcuni anni or sono fece l’équipe del professor Corrado Barberis, un lavoro poi trasferito nella fondamentale serie di “Atlanti” pubblicati dall’Insor. Occorreva completare le caselle dei prodotti tipici con i nomi dei produttori, con l’inventario di artigiani, allevatori, agricoltori.
Non solo: con grande lungimiranza il Ministero ci chiedeva di compilare quell’inventario non come un elenco telefonico, ma attribuendo a quei produttori un giudizio prima di merito (quel prodotto è tipico? Rispetta i parametri di territorialità, tradizione, genuinità che un prodotto tipico deve esprimere?) e poi organolettico.

Insomma Slow Food, sulla base di criteri ben precisi, doveva decidere quali produttori meritassero la segnalazione – e tra questi quali toccassero l’eccellenza – e quali no.

Un concetto rivoluzionario per un’Istituzione pubblica, che di solito chiede la onnipresenza, la completezza delle segnalazioni per non scontentare nessuno. Ma compilare un elenco totale e indiscriminato di tutti i produttori equivale a non segnalarne nessuno. Un elenco cosiffatto non serve a incuriosire il consumatore, non suggerisce regole virtuose di comportamento, non favorisce il giusto spirito di emulazione tra produttori, non incentiva il miglioramento qualitativo del comparto. Solo valorizzando i migliori si riesce a fare crescere tutti quelli che per varie ragioni non fanno grande qualità. Slow Food questo concetto lo ha ben presente, da sempre. Non abbiamo mai enfatizzato il significato dei punteggi, delle classifiche, ma sappiamo bene che solo sottolineando il valore della qualità si riesce ad aiutare il settore agroalimentare a crescere, a fare reddito, ad avvicinare nuovi mercati. Questo concetto – di per sé semplice, ma difficile da fare accettare ai produttori esclusi, com’è facilmente intuibile, o alle istituzioni – ha favorito, ad esempio, l’impressionante trend positivo della vitivinicoltura italiana. Quindici anni di “tre bicchieri” (il massimo punteggio assegnato da noi e dal Gambero Rosso ai migliori vini italiani), ad esempio, hanno contribuito a innescare un circolo virtuoso che in pochi anni ha portato l’enologia italiana ai vertici della qualità mondiale.
È possibile ripetere tale esperienza anche per gli altri settori dell’agroalimentare? L’Atlante è un tentativo in questa direzione: per la prima volta, o quasi, sono stati valutati pani, salumi, mieli, conserve, formaggi, oli, distillati, infusi, confetture… Abbiamo trasferito ad un universo alimentare molto vasto e articolato il metodo che da anni utilizziamo per il vino. Anche se sappiamo bene che, estendendo il raggio di intervento, le cose si complicano.

Innanzitutto se esistono degustatori ufficiali o riconosciuti tali di vino, olio, miele e formaggio, occorre inventarsi il degustatore di marmellate, salumi, riso e pasta, dolci, pane. E un buon degustatore non può operare in modo completamente avulso dal territorio: deve conoscere le tecniche e i metodi di produzione di quel particolare prodotto, i flussi delle materie prime, i canali commerciali. Insomma, deve muoversi come un pesce nell’acqua se vuole raccontare il mare, soprattutto se è un mare inesplorato. E non sono molte le organizzazioni in grado di offrire questo tipo di competenze: probabilmente solo Slow Food, con la sua rete di segnalatori e fiduciari, è una delle poche in grado di assolvere questo compito sull’intero territorio nazionale. Ma anche Slow Food ha dovuto preparare questi degustatori, formarli e verificarne continuamente il lavoro sul campo.
Altro problema: per degustare i prodotti occorre risalire ai produttori, stilare gli elenchi sui cui operare le selezioni. Detto così pare una sciocchezza. Ma non esiste una fonte ufficiale in grado di fornire questi elenchi. Le Camere di Commercio forniscono un catalogo degli iscritti, dove c’è tutto, troppo. I parchi cominciano appena adesso a lavorare sui prodotti tipici e sui produttori: non dispongono di archivi, di memoria storica e danno quel che possono. Le Agenzie di sviluppo rurale (ogni regione ha la sua) lavorano per comparti: trovi il tecnico bravissimo che sa tutto sui fichi d’india, ma ignora che su quello stesso territorio si producono prosciutti o si allevano capre rarissime. E allora si va per aggiunte progressive: si interpellano i fiduciari Slow Food, le migliori trattorie, i comuni, gli assessorati all’agricoltura, le Asl, i veterinari e si fanno incroci e sottrazioni.

Poi nasce un altro problema: quando hai un elenco, non sai se tutti sono autorizzati dal punto di vista sanitario alla vendita. E allora ricominci a interpellare ufficiali sanitari, organizzazioni di categoria, tecnici e depenni. Quando finalmente arrivi ad un inventario attendibile, si comincia a telefonare ai produttori. “Pronto, vi chiamo da Slow Food…” “Chi?” “Per conto del Ministero”… così va un po’ meglio, ma la diffidenza è tanta. Alcuni capiscono al volo e ti mandano tutto quel che fanno, corredato da spiegazioni, foto, schede tecniche. Altri non ne vogliono sapere. Altri, e sono la maggioranza, debbono essere convinti con pazienza: “Guardi, le servirà. Non è per le tasse…non è l’ufficiale sanitario… è una guida, per aiutarvi a vendere bene, per far conoscere i vostri prodotti!”. Mettersi in comunicazione con l’Italia profonda dei pastori, dei contadini, dei macellai di paese è difficile. Non stiamo parlando delle star della gastronomia, degli artigiani eccellenti, dei grandi pasticceri, dei celebri produttori di vino e di olio vezzeggiati dai media e dai consumatori, né delle nuove professionalità agricole, come quelle del mondo del vino, ad esempio, o di quei ragazzi che hanno fatto la scelta di vita della campagna e che sono pronti a cogliere l’occasione. Parliamo di quell’Italia dell’artigianato sommerso, di quel fiume carsico dell’agroalimentare che è afflitto da un individualismo feroce, soprattutto in certe regioni del Sud, dalla sottovalutazione del proprio lavoro, dalla marginalizzazione, dalla sfiducia. Anche in questo caso è fondamentale il ruolo delle istituzioni: dove operano bravi amministratori e tecnici appassionati, si riesce a tessere un legame, a stabilire un rapporto. Poi i prodotti arrivano, o in sede o in qualche località del parco, ma arrivano è un eufemismo. Per lo più bisogna viaggiare giorni interi per andarli a raccogliere: pensate ad un parco come il Cilento, una provincia! O il Gargano: migliaia di curve. O lo Stelvio: salite e discese senza fine. A questo punto bisogna degustarli e giudicarli. E si vorrebbe passarli tutti: per la fatica, l’attaccamento che c’è dietro a quei salami, a quelle marmellate, a quei dolcetti. Eppure bisogna distinguere, altrimenti si fa due volte danno. Bisogna sempre mettersi nei panni del viaggiatore che userà la guida e chiedersi: “se ti mandassero in cima a quella montagna a comperare quel pane, tu cosa diresti? Ne è valsa la pena?”. Ecco il cuore del problema: con il consumatore non si scherza. Noi di Slow Food lo sappiamo benissimo e il Ministero ce lo ha riconosciuto: magari sbagliamo nel giudicare, ma sbagliamo in buona fede. Perché siamo anche noi gastronomi curiosi, pronti a fare chilometri e a mettere mano al portafoglio: ma solo se non ci raccontano frottole e se ci fidiamo dei suggerimenti.

Ebbene, potete fidarvi di questo Atlante. Ci abbiamo lavorato più di due anni, abbiamo assaggiato tutto, ma proprio tutto quello che vi troverete segnalato, abbiamo cercato di coinvolgere tutti i produttori possibili di un determinato territorio. Ne mancheranno all’appello finale: un po’ perché molti si sono dichiarati assolutamente non interessati alla guida, un po’ perché qualcosa, naturalmente, può esserci sfuggito. Inoltre molti produttori hanno mandato prodotti inventati: magari buoni, ma non tradizionali e tipici. Quei prodotti sono stati cassati d’ufficio. Tenete presente che comunque noi abbiamo gli elenchi di tutti gli esclusi, anche di quelli che non hanno passato la degustazione: se non sono segnalati sull’Atlante è perché non hanno raggiunto la sufficienza dal punto di vista organolettico, o perché utilizzavano materie prime non idonee o additivi chimici o conservanti. Ad esempio, per quel che riguarda i salumi, noi accettavamo solo quelli che al massimo venivano prodotti con nitriti e nitrati: niente lattosio, saccarosio, acido ascorbico, eccetera. Per i pani chiedevamo, tranne casi rari, che fossero fatti con lievito madre e non con lievito chimico. Per i formaggi chiedevamo la non pastorizzazione del latte, salvo alcuni casi particolari, e comunque nessun tipo di additivo. Per i dolci che si utilizzasse burro e non margarina e niente aromi. E così via. Una selezione dura, attenta, che in certi casi doveva fidarsi della dichiarazione del produttore (Slow Food non è un centro di analisi né di repressione frodi: se il produttore dichiara di non utilizzare nessun tipo di conservanti, lo fa a suo rischio, e noi dobbiamo prenderlo per buono. Sempre che poi nella degustazione non emergano elementi negativi), ma che in presenza di ragionevoli dubbi tendeva ad escludere più che ad ammettere.

Quel che resta è comunque tanto, tantissimo. E per arrivare a questo inventario abbiamo mosso il mondo. Date una scorsa all’ elenco dei ringraziamenti – credete, sono ringraziamenti assolutamente dovuti: tanta tanta gente ci ha aiutato in modo appassionato e disinteressato – per rendervi conto della complessità di questo lavoro e della sua importanza. La scommessa dell’agroalimentare italiano passa di qui, necessariamente. Noi dobbiamo puntare su questi prodotti, su questi artigiani: dobbiamo scommettere su una qualità che non ha paragoni nel mondo. E ci auguriamo che questo Atlante funga da stimolo per assolvere ad un impegno che non è più prorogabile: l’Atlante di tutto il territorio nazionale e non solo del dieci per cento.

In ogni caso questo c’è, è a disposizione di tutti, professionisti e consumatori. Usatelo: vi guiderà alla scoperta di uno spaccato ancora inesplorato della nostra produzione tipica. E vi consentirà un approccio al mondo delle aree protette “ecogastronomico”.

Progetto:

Paolo Di Croce, Piero Sardo


Coordinamento generale:

Raffaella Ponzio


Coordinamento redazionale:

Serena Milano


Organizzazione

Carlo Fanti, Giancarlo Gariglio


Ricerca e redazione:

Giovanni Bellingeri, Valter Bordo, Simone Cofferati, Stefano Corrada, Carlo Fanti, Giancarlo Gariglio, Tiziana Gazzera, Gioacchino Miligi, Grazia Novellini, Piero Sardo


Responsabile Commissione di Degustazione e scelta prodotti:

Piero Sardo


Commissione di degustazione:

Stefano Asaro, Corrado Assenza, Valter Bordo, Valerio Chiarini, Roberto De Viti, Alberto Fabbri, Susanna e Luca Fabbri, Gianni Fabrizio, Maurizio Fava, Armando Gambera, Carlo Gazzarrini, Vito Puglia, Franco Saccà, Cinzia Scaffidi, Diego Soracco, Gilberto e Marcella Venturini


Hanno inoltre collaborato alle degustazioni:

Lamberto Albonetti, Antonio Attorre, Paolo Battimelli, Paolo Bellini, Andrea Bertucci, Maura Biancotto, Gino Bortoletto, Pier Bottà, Massimo Carpinteri, Raffaele Cavallo, Franca Chiarle, Laura Crescentini, Luigi Di Lello, Renzo Fantucci, Giampiero Giordani, Clara Laurita, Armando Lazzati, Francesco Linzalone, Vittoria Maradei, Giancarlo Melandri, Federico Molinari, Gianmauro Mottini, Vincenzo Nava, Filomena Oliverio, Armando Palumbo, Gaetano Pascale, Giuseppe Placentino, Fabio Pogacini, Pasquale Porcelli, Giuseppe Privitera, Vincenzo Pruiti, Fabrizio Russo, Barbara Schiffini, Salvatore Taronna, Christoph Tscholl, Federico Valicenti, Bruno Viberti


Responsabile per Legambiente:

Fabio Renzi


Coordinatore:

Davide Pedron


Responsabile per Federparchi:

Matteo Fusilli


Coordinatori:

Luigi Bertone, Sergio Fiorini


Art Director:

Dante Albieri


Edizione on-line

ComunicAzione

Nella pagina di apertura:
Vendemmia nel Parco Nazionale delle Cinque Terre
(foto di Sergio Fregoso)

Copyright 2002 - Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio

Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale senza l’autorizzazione formale e scritta del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio